(Dal capitolo II)
“E’ venuto il momento di svelarvi il motivo di questa assemblea!” incalzò il Proconsole non attendendo che si facesse silenzio, sapendo che quello era il momento di imporsi.
“Ascolani, è del tutto evidentemente, che la riconoscenza e la lealtà non sono disposizioni dell’animo che appartengono alla Vostra comunità. Molti di voi si chiederanno chi siano quei due giovani in catene. Ebbene essi sono la prova vivente della ingratitudine, anzi della slealtà e del tradimento che Asculum ha perpretrato nei confronti della generosa Repubblica romana”.
Vidacilio e Ventidio Basso scattarono in piedi come un sol uomo, ma fu solo il primo a parlare.
“Non puoi offenderci così! Come osi farlo, non puoi chiamare traditrice una città che è stata al fianco di Roma contro Hannibal e contro i barbari del nord e in innumerevoli altre volte. Abbiamo dato il nostro sangue e la nostra migliore gioventù, più volte, per Voi Romani e per la ricchezza della Repubblica!”
“Gaio Vidacilio”, ringhiò il Pretore a denti stretti, “non sopporterò un’altra interruzione, sappilo! Un’altra parola e dimenticherò chi sei…” poi lanciò uno sguardo verso il comandante del piccolo plotone che diede l’ordine di messa in guardia dei suoi uomini i quali alzarono gli scudi e portarono in avanti le lance. (…)
“Se dipendesse da me” continuò urlando Servilio “avrei preso già provvedimenti più che dolorosi contro i vostri capi e contro la città intera che evidentemente non poteva non sapere quale infamia essi stessero tramando”.
Con il dito indice della mano destra indicò i due in prima fila. La tensione nel teatro giunse al culmine.
“Una punizione severa verso i colpevoli diretti e indiretti è quello che chiederò al senato di Roma! Avrà salva la vita e salvi i beni chi si ricrederà e farà pubblica confessione e ammenda. Al contrario, saremo spietati con gli altri. Ascolani, vi chiedo di sconfessare e consegnare a Roma chi si è reso colpevole di tradimento verso il popolo romano! La Repubblica e i suoi tribunali sapranno cosa fare contro gli infam…”
Non terminò la frase. Un sibilo accompagnò tre frecce simultanee che spensero contemporaneamente la sua vita e la parola offensiva che stava pronunciando. Cadde in ginocchio con due frecce conficcate al collo e una che gli aveva trafitto, orrendamente, l’occhio sinistro. Cadde così, Caio Servilio, pretore di Roma con poteri proconsolari, per non aver saputo interpretare i nuovi tempi che arrivavano e senza sapere che quelle tre frecce avrebbero cambiato per sempre la storia della Repubblica i cui interessi egli aveva creduto di difendere nel suo ultimo, mal utilizzato, giorno di vita.